Passerà agli annali della storia delle comunicazione la vicenda della SuperLeague annunciata una domenica notte di fredda primavera e affondata dagli stessi organizzatori tre giorni dopo. Nel mezzo una abbondante e straordinaria quantità di articoli e commenti che hanno attraversato i principali media nazionali ed internazionali con una percentuale di osservazioni critiche vicina all’unanimità.
Com’è possibile che una iniziativa che ha visto protagonisti i principali club calcistici italiani, inglesi e spagnoli (insieme ad una delle più prestigiose multinazionali americane di servizi finanziari, la JP Morgan) sia stata annunciata per crollare appena 72 ore dopo?
La prima osservazione è che, al di là del giudizio che si voglia dare all’iniziativa, investitori e azionisti delle principali squadre europee che avevano organizzato il blitz non hanno tenuto nel dovuto conto gli effetti della comunicazione. Anzi, hanno drammaticamente sottovalutato che una decisione così importante, che avrebbe avuto un impatto su centinaia di milioni di tifosi (sia delle squadre coinvolte, sia di quelle escluse), andava organizzata a perfezione per cercare di evitare letture distorte o di parte.
Il messaggio che è arrivato in tutto il mondo è stato sostanzialmente questo: pochi club “prestigiosi” (non abbiamo utilizzato il termine “ricchi” perché è nella loro crisi finanziaria che si spiega l’iniziativa) hanno deciso di organizzarsi in un supercampionato europeo, di lasciare le storiche manifestazioni alle squadre meno importanti, di snobbare i rispettivi campionati nazionali per sistemare i propri conti grazie ad una spinta propulsiva, organizzata da una multinazionale americana, di 3.5 miliardi di euro.
Qualsiasi iniziativa di rilevanza pubblica non può prescindere da una adeguata campagna di comunicazione sia in fase preparatoria sia in quella realizzativa. Questo non è successo ed è del tutto evidente. Da quello che è emerso sono prevalsi improvvisazione e superficialità, che i più malevoli traducono anche in arroganza e impreparazione.
Nessuno disconosce i problemi economico-finanziari alla base della incauta iniziativa, ma proprio la natura e le finalità della decisione, che avrebbe dovuto ristorare i budget compromessi delle squadre interessate, imponevano una strategia di comunicazione che non si è potuta minimamente apprezzare.
L’esempio più eclatante viene dall’intervista a due importanti quotidiani nazionali del Presidente della Juventus Andrea Agnelli (che insieme a Inter e Milan formavano il gruppo italiano della SuperLeague), nella quale si rivendicavano le finalità positive dell’iniziativa e che poche ore dopo la pubblicazione veniva smentita dai fatti con il naufragio annunciato dagli stessi protagonisti.
Il Presidente della SuperLeague e del Real Madrid Florentino Perez in una intervista ha dichiarato “abbiamo lavorato per anni a questo progetto, forse non siamo riusciti a spiegarlo”. Esattamente di questo si tratta. “Lak of Information” e “Misleading Communication” sono alcuni dei termini internazionali più appropriati per rappresentare quello che è successo.
I protoganisti italiani, inglesi, spagnoli, americani sono entrati pericolosamente in questa spirale viziosa, dalla quale opportunamente si sono tenuti distanti i francesi e tedeschi. Questi ultimi probabilmente si erano preparati meglio sul tema o per cauta saggezza o per una migliore attività di analisi sugli effetti, anche comunicativi, di una avventura cominciata male e finita malissimo.
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